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La Napoli di Bellavista: viaggio fotografico nella Napoli di una volta
lunedì, ottobre 31st, 2011
La Napoli di Bellavista di Luciano De Crescenzo non è un semplice libro fotografico, ma è un viaggio nel tempo, capace di trasportarti in un attimo in un mondo che non c’è più. Si scopre così che in un uno strano vicolo, detto Paparelle al Pendino, esisteva un ospedale delle bambole in cui un vecchio signore, con tanto di paglietta bianca, si occupava di curare bambole, manichini e statue di santi.
La Napoli di Bellavista è infatti soprattutto un itinerario alla scoperta di mestieri, che più che mestieri sono fantasiosi mezzi per guadagnarsi la giornata come lo sosciapasta, il soffiapasta. Questa sorta di artigiano del recupero era incaricato di raccogliere la pasta caduta durante la vendita, e di privarla della polvere e o dell’altra sporcizia soffiandoci sopra. Il pagamento era ovviamente in natura: il sosciapasta riceveva altro cibo per mettere insieme il pranzo con la cena. O ancora il mullecaro, di cui De Crescenzo è riuscito a fotografare persino il banchetto. Anche quest’ultimo era un mestiere da recupero, in quanto il mullecaro si occupava della raccolta delle briciole derivanti dalla produzione dei dolci nelle pasticcerie per rivenderle ai bambini all’uscita dalla scuola in appositi coni di carta.
E se qualcuno pensa che i mestieri appena descritti non possono essere dei veri mestieri, quanto piuttosto il parto di una fervida immaginazione, si sbaglia ché ne La Napoli di Bellavista ci sono le prove documentali della loro esistenza come le foto dell’ultima capera, parrucchiera a domicilio, tal Donna Giovannina Liguori.
Ma La Napoli di Bellavista è anche la memoria fotografica delle ossessioni dei napoletani come il gioco del lotto che si scopre sorprendentemente nato in quel di Genova, forse non così sorprendentemente!; o la tombolella con i numeri della smorfia estratti rigorosamente dai femminielli, travestiti napoletani, di cui De Crescenzo immortala i volti intenti al gioco.
Il viaggoi ne la Napoli di Bellavista si chiude, e come poteva essere diversamente, con San Gennaro e con la foto che testimonia lo sgarbo subito dal santo. Purtroppo all’inizio degli anni Settanta, a seguito della constatazione di un numero talmente rilevante di santi tale da superare i 365 giorni di cui si compone un anno, la chiesa decise di concedere alle singole diocesi la scelta di festeggiare o meno San Gennaro nel giorno a lui tradizionalmente dedicato, vale a dire il 19 settembre. Le parrocchie potevano avere così a disposizione una rosa di santi tra cui scegliere. A contendersi la giornata furono: San Gennaro, Sant’Elio, Santa Colomba e Santa Pomposa. I napoletani, immaginando la delusione del Santo così declassato, anche perché a dire il vero le due sante Colomba e Pomposa non potevano certo reclamare la fama del martire napoletano, apposero sulla sua statua la scritta: S. Gennà Fottatene! (San Gennaro fai finta di nulla), volendo così consolare il santo del torto subito.
Nell’immergersi ne La Napoli di Bellavista bisogna poi prestare un’attenzione particolare alle foto dei cartelli pubblicitari fai da tè. Non si può non soffermasi sul manifesto del commerciante Jenny California che pubblicizza le proprie “Giacche al vento”; su un modesto cartello di un anonimo idraulico rifacitore della lingua italiana che ripara “cucine a casso” (cucine a gas); sul cartello di Mister X, mago tuttofare che promette una serie di utili servizi tra cui: i numeri per i terni e le quaterne, i sistemi del totocalcio, le divinazioni su presente e futuro, e dulcis in fundo gli appuntamenti con ufo, il tutto ovviamente a prezzi onesti; sul cartello di una scuola guida, intitolata non a caso a San Gennaro, che impartisce corsi speciali per signora e così via dicendo….