Catania: la città che mangia i seni della sua patrona
lunedì, agosto 27th, 2012
Se avete deciso di partire, attraversare lo stretto e raggiungere Catania dovete mettere in conto che potreste mangiare i seni di una santa, ritrovarvi circondati da palazzi che hanno reso barocche intere colate di pietra lavica e, perché no, finire per ammirare il sedere di un elefante!
A Catania, infatti, spadroneggiano l’Etna, un Elefante nero e Sant’Agata, e guai a mettere in discussione uno di questi tre simboli. Con la patrona, poi, i credenti hanno un vero e proprio rapporto confidenziale al punto che la chiamano semplicemente Agata. I più intimi arrivano addirittura ad apostrofarla Aituzza! E la comunione con la santa fa talmente parte del dna dei catanesi che se ne cibano persino: i suoi seni finiscono quotidianamente sui banchi delle pasticcerie sotto forma di piccole cassatine bianche sormontate da ciliegie candite.
Catania: Piazza Duomo e l’Elefante
La città riunisce tutti i suoi simboli in Piazza Duomo dominata dal famoso elefante nero in pietra lavica che si erge sulla sua colonna, proprio come quello di Piazza della Minerva a Roma.
L’elefante, detto anche Liotru o Diotru, non è però una statua qualsiasi, ma una sorta di animale magico di cui si serviva Eliodoro per compiere i suoi viaggi tra Catania e Costantinopoli. L’abilità principale del mago consisteva nel trasformare gli uomini in animali e nel far apparire e scomparire cose e persone. Le sue truffe erano così frequenti che l’imperatore Costantino, giustamente seccato, lo condannò a morte, non riflettendo sul fatto che la cosa più difficile sarebbe stata acciuffarlo.
Leggenda vuole che l’ultima beffa di Eliodoro fosse stata riservata alla moglie del messo di Costantinopoli, Eraclio, inviato dal lontano Oriente per imprigionarlo. Il mago, infatti, riportò in patria il suo carceriere su una nave che scomparve non appena toccò le coste turche. La moglie del messo che si trovava invece in Sicilia ad attenderne il ritorno, si adirò così tanto per il trattamento riservato al marito da sputare in volto al mago. Eliodoro, offeso a sua volta, decise di privare l’intera isola del fuoco. O meglio, il mago, che doveva essere piuttosto spiritoso, prese spunto dal carattere focoso della consorte di Eraclio, e ne trasformò il sedere in una specie di torcia inestinguibile. Così, la poveretta fu costretta a rimanere per tre giorni in mostra nella pubblica piazza, fungendo da zolfanello gigante per tutti i suoi concittadini. Fu poi il quindicesimo vescovo di Catania, San Leone, a condannare a morte il truffaldino Eliodoro.
Il povero elefante, legato a filo doppio alla fama dello stregone, visse fasi altalenanti di fortuna e dimenticanza. Solo dopo il terribile terremoto del 1693, che quasi distrusse la città, venne collocato dall’architetto Vaccarini sull’obelisco egizio dove ancora oggi troneggia. Ormai l’elefante è diventato un tale elemento di riconoscimento per i catanesi che essi stessi si definiscono orgogliosamente Macca Liotru, cioè marca elefante, per distinguersi da tutti gli altri abitanti della provincia. E non è certo un caso che Catania abbia scelto come simboli proprio Sant’Agata e l’elefante. Nel Medioevo si pensava che quest’animale aiutasse le gestanti a non desiderare i propri mariti per ben nove mesi in quanto a loro era da attirbuirsi la responsabilità della lievitazione delle loro pance. L’elefante finì così per essere considerato simbolo di amore e fedeltà, proprio come la santa cittadina!
Catania: il Duomo e Sant’Agata
La proboscide di Liotru punta direttamente verso il Duomo di Catania intitolato alla sua santa protettrice Agata, di cui si possono seguire le tracce in tutto il territorio cittadino. Alla patrona, infatti, sono dedicate anche le chiese di Sant’Agata Al Carcere e Sant’Agata Al Borgo. Ma la presenza della santa è riscontrabile ovunque, anche sui chioschi del pittoresco mercato del pesce che si svolge tutti i giorni della settimana alle spalle della Fontana dell’Amenano, sempre in Piazza Duomo.
La fanciulla è diventata martire a seguito del suo rifiuto di sposare il governatore pagano Quinziano. Questi, intestarditosi, incaricò la cortigiana Afrodisia di corrompere la virtù della giovane. La donna ebbe un mese di tempo per indurre Agata ad abbandonare la sua fede cristiana. Pare che la cortigiana organizzasse sfrenate feste e baccanali che, probabilmente, a una fanciulla di appena quindici anni ignara di cosa fosse l’amore dovettero ispirare più paura che desiderio!! Afrodisia fu costretta così ad arrendersi e a riconsegnare la fanciulla a Quinziano. Questi, non pago, la sottopose a una serie di torture, tra cui il distacco dei seni con delle grosse tenaglie, convinto, forse, di privarla di un segno di bellezza e vanità femminile. San Pietro, però, provvide a compiere il miracolo della loro ricrescita.
A questo punto il governatore la condannò semplicemente al rogo. Proprio mentre veniva messo in atto l’ennesimo supplizio, la città fu scossa da un terremoto e la santa fu riportata in carcere, dove morì.
Oggi, i catanesi la festeggiano due volte all’anno: una il 5 febbraio e l’altra in agosto, e precisamente il 17. Se siete fortunati, potete assistere alla processione dei fercoli (fero cultum, portare il culto) o candelore. Si tratta di grandi macchine votive, il cui peso può raggiungere anche i 900 chili. Ogni fercolo rappresenta simbolicamente la devozione di macellai, fornai, pizzicagnoli e persino di “spacciatori di vino”. Alcuni sono esposti nella Chiesa di San Francesco, da dove vengono prelevati dai devoti con indosso “u saccu”, un saio bianco. A questi spetta il compito di portarli a spalla in processione.
E se non potete andare a Catania in occasione della festa, ma volete partecipare comunque al rito collettivo, senza però mangiare i seni della santa, potete sempre assaggiare le olive di cui lei si cibava in carcere stappandole dai rami di un ulivo ancora visibile accanto alla chiesa di Sant’Agata in Carcere. I catanesi hanno provveduto, infatti, a trasformarli in squisite olive di pasta di mandorle!